STORIA, del GRANO (Frumento) del PANE + Storia del Grano (sintesi)
La coltivazione del frumento risale ad un’età molto remota. Da alcuni ritrovamenti fossili sembra che qualche tribù dell’Europa preneolitica abbia cominciato la coltivazione del frumento ed è accertato che la cerealicoltura preistorica nelle regioni dell’Europa occidentale si sviluppò nella fase avanzata di transizione fra l’età paleolitica e quella neolitica (mosolitico, 10.000 ? 8.000 a.C.).
Testimonianze risalenti a circa 10.000 anni fa e reperite nella zona dei laghi svizzeri rivelano come sin d’allora l’uomo avesse sviluppato la lavorazione del pane. In Palestina sono stati rinvénuti attrezzi agricoli per la mietitura, del periodo che va dall’,8.000 al 3.000. a.C. (neolitico). Residui di frumenti coltivati sono stati scoperti nelle caverne neolitiche del Belgio.
In Italia la coltura cerealicola nell’età neolitica è accertata dai ritrovamenti delle palafitte lacustri attorno alle rive meridionali dei laghi alpini e nel basso piano padano. La prima testimonianza scritta, dove si parla di pane e di birra, la ritroviamo nel codice dì Hamurabi, un sovrano della prima dinastia di Babilonia, vissuto intorno alla metà del 1.700 a.C..
Sembra che, ad iniziare per primi la coltivazione del grano,siano stati gli antichi. abitatori della Siria e della Palestina e da qui passò poi in Egitto dove già si produceva l’orzo. Ben presto fu preferito il grano perché consentiva una migliore panificazione, la quale assurse a dignità d’arte, al punto di produrre diverse qualità di pane di farina bianca per le classi superiori e di orzo o pelta (un tipo di cereale oggi estinto) o durra (pianta simile al miglio, coltivata in Asia e in Africa) per i più umili.
Anche gli Ebrei durante la loro prigionia si nutrivano di pane nero ma non lievitato (pane azzimo). Sempre in Egitto sono stati ritrovati, in alcune tombe lungo il corso del Nilo, affreschi che ritraggono la coltivazione del grano, la raccolta, la macinazione, la miscelatura e la cottura al forno. In una tomba è stata ritrovata una forma di pane a focaccia piatta di circa 3.500 anni fa.
Sembra che siano stati gli egiziani a scoprire che lasciando fermentare l’impasto di farina si sviluppa gas capace di far gonfiare il pane.
Anche gli antichi Greci e Romani furono grandi consumatori di pane. Durante il periodo di Roma capitale del mondo il pane è stato l’alimento base per la popolazione. Il primo negozio di pane fu aperto a Roma nel 150 a.C. e ben presto il pane sostituì una polenta fatta con farina di cereali, chiamata “plus”, che era usata in tutta Italia.
Di arte della panificazione si poté parlare più tardi quando, dopo le Vittoriose guerre in Oriente, i Romani portarono a Roma numerosi schiavi fornai che svelarono i segreti della panificazione. In un primo tempo i forni furono sfruttati dai soli patrizi ma poi furono aperti quelli pubblici.
Dopo la caduta dell’Impero Romano si tornò a fare la fabbricazione casalinga del pane. Un grande interesse per questo alimento si ritrova anche nel Medioevo; infatti i signori feudali imponevano ai propri sudditi di utilizzare, per macinare il grano e per far cuocere il pane, solo i propri mulini ed i propri forni.
Ben presto però il pane quotidiano diventò un cibo aleatorio ed incominciò ad apparire lo spettro della fame. Il 1348, l’anno della peste, sembrò la fine del vecchio mondo, con la classe contadina avvilita e affamata, si fermò la storia del pane.
Durante il Rinascimento, con tutto il fiorire delle arti e dei mestieri, riprese valore l’arte dei fornai e si usavano macchine simili a quelle ritrovate , ai giorni nostri, negli scavi di Pompei.
Anche successivamente, nei momenti di crisi, i fornai furono considerati incettatori ed affamatori del popolo, come riporta il Manzoni nei Promessi Sposi” rievocando la sommossa del pane. Ma reazioni popolari ci sono state anche, in varie epoche, contro le imposte sulla panificazione e la tassa sul macinato. Veri e propri tumulti si sono verificati in Val di Sieve, in Romagna, in Emilia in seguito all’introduzione della tassa sul macinato decisa dal governo italiano nel 1868 e abolita nel 1880.
Il pane bianco, fino alla rivoluzione francese, era un alimento destinato ai ricchi. La povera gente si nutriva di pane nero, un pane che, secondo i dietologi, è più sano e nutriente di quello raffinato e lavorato che oggi si può trovare nella più moderna panetteria.
Ogni nazione (ogni regione, o meglio ancora, ogni o paese) ha le sue, tradizioni. Il pane di Ferrara, ad esempio, è diverso da quello di Parigi o di Vienna ed anche le “michette” di Milano sono ben diverse dal pane toscano, senza sale, o dai grandi pani pugliesi oda quelli di grano duro che si preparano in molte zone dell’ Italia meridionale.
Il pane è considerato l’elemento base dell’alimentazione umana; però non è stato il primo alimento dell’uomo.
Infatti i più antichi abitanti della Terra si nutrivano di carne, di pesce, di piante e di erbe, di frutti selvatici ed anche del latte di alcuni animali.
L’invenzione del pane è stata la conseguenza di alcuni fattori: l’utilizzazione del fuoco, il passaggio dalla vita nomade alla vita sedentaria che ha permesso la coltivazione dei cereali, la costruzione di utensili necessari per trasformare in farina i vari cereali come il miglio, l’orzo, la segale e il frumento, la scoperta del lievito, una sostanza costituita da microrganismi in grado di provocare la fermentazione, senza la quale non avviene la formazione di pani gonfi e soffici.
Tratto da: cortonaweb.net
MUTAZIONI GENETICHE DELETERIE sui CIBI – Glutine + Glutine info + Riso + Pane
Aziende, Centrali Nucleari, Multinazionali, OGM e Frumento = Mutazioni genetiche del Grano + Tracciabilita’ dei Cibi
Il Mostro genetico chiamato frumento – 24/03/2016
Quando si parla di biotecnologie in campo agrario, uno degli aspetti che più ne ostacola l’accettazione, almeno a livello psicologico, è la capacità di trasferire geni tra specie diverse creando incroci ritenuti “impossibili” in natura. “Contro natura”.
Non tutti sanno però che è proprio grazie ad un meccanismo simile se possiamo avere il nostro pane quotidiano, per non parlare della pasta. Dovete sapere infatti che il grano tenero con cui facciamo il pane e il grano duro con cui produciamo la pasta, ma anche molti grani «minori» che si trovano quasi solo nei supermercati del “naturale”, sono parte di un unico albero genealogico, nipoti odierni di un’evoluzione genetica iniziata più di 300.000 anni fa che, partendo da un progenitore selvatico, ha mescolato e aggiunto via via interi genomi appartenenti a specie diverse, generandone di nuove.
La “mezzaluna fertile” è la regione che comprende, al giorno d’oggi, Israele, la Giordania, il Libano, la Siria occidentale, parte della Turchia e si estende, tra il Tigri e l’Eufrate, in Iraq e nell’Ovest dell’Iran. Qui, 12.000 anni fa, un piccolo gruppo di uomini ha iniziato a domesticare specie vegetali selvatiche.
Questo processo, relativamente breve, di selezione artificiale ha trasformato il pianeta in un enorme esperimento evoluzionistico di adattamento, selezione e speciazione. Ma ha anche reso le piante dipendenti dall’uomo, capaci di sopravvivere solo se coltivate in condizioni controllate. La domesticazione infatti è uno dei primi atti «contro natura» che la nostra specie abbia compiuto. Domesticare piante e animali selvatici significa privilegiare i caratteri utili all’uomo (come, per esempio, la grandezza di semi e frutti nelle piante o la docilità nel caso degli animali) eliminando quei caratteri che permettono loro di vivere allo stato selvatico. Domesticare, di fatto, vuol dire appiattire la variabilità genetica: per esempio nei vegetali si sono privilegiati i caratteri, e quindi i geni, legati al sapore che l’uomo ritiene gradevole, eliminando i geni responsabili della produzione di sostanze sgradevoli o tossiche che però spesso avevano la funzione di allontanare i parassiti e gli insetti in una sorta di guerra chimica «naturale». Una pianta che non riesce più a sopravvivere in natura è “naturale”?
La famiglia dei grani
La storia dei grani, molte specie diverse del genere Triticum, è affascinante. Tutto ha inizio nella zona montuosa del Karacadag, nel sudest della Turchia con due specie selvatiche, il Triticumboeoticum e il Triticumurartu.
Circa 10.000 anni, i nostri avi domesticarono il T. boeoticum dando vita alla specie che è tornata in auge negli ultimi anni tra gli appassionati di panificazione: il T. monococcum chiamato comunemente farro monococco.monococco
Ben prima dell’invenzione dell’agricoltura, tra i 300.000 e i 500.000 anni fa, l’altra componente selvatica della famiglia dei Triticum, il T.urartu, subiva un evento genetico che, se pensiamo semplicisticamente alle specie viventi come entità immutabili, non sarebbe mai potuto avvenire. Il suo intero genoma si è fuso con quello di una graminacea, un’erbaccia, la Aegilopsspeltoides, per generare il Triticumdicoccoides o farro selvatico: una nuova specie selvatica che conteneva tutti i geni di entrambi i donatori e il doppio dei loro cromosomi. Questo farro selvatico cresce ancora spontaneo in Israele, Turchia e altri paesi.
La loro è stata una fusione «contro natura», inusuale per due motivi: il primo è che coinvolge membri non solo di due specie diverse, ma addirittura di due generi differenti – come se fosse un incrocio tra un gatto e un cavallo – il secondo è perché A. speltoides dona interamente il suo genoma a T. urartu e non solamente la metà, come in un comune incrocio sessuale tra membri della stessa specie. Dall’unione nasce il farro selvatico o T. dicoccoides, una nuova specie con il doppio dei cromosomi dei genitori. Loro avevano due copie per ogni cromosoma, proprio come noi esseri umani, erano cioè diploidi, mentre lui di copie ne ha quattro per ogni cromosoma, quindi è “tetraploide”. Anomalie nel numero di cromosomi negli animali portano generalmente alla morte o allo sviluppo di gravissime malattie, mentre per le piante sono abbastanza comuni. Anzi, in natura questo tipo di modifica genetica genera spesso nuove specie.
La selezione graduale del farro selvatico generò, circa 10.000 anni fa, il Triticumdicoccum, il farro coltivato, il grano principale dell’agricoltura del neolitico. Usato per fare pane e birra, questo farro era il grano dei faraoni e degli antichi romani. Una serie di mutazioni genetiche casuali seguite da selezioni hanno trasformato il farro in altre specie tra cui la più importante per noi italiani è sicuramente il grano duro, il Triticumdurum con cui produciamo la pasta.
La nascita di una nuova specie
Circa 8000/9.000 anni fa, nella regione compresa tra l’Armenia e il Sudovest del mar Caspio, avvenne un secondo evento genetico “impossibile”: il T.dicoccum inglobò completamente il genoma di un’altra pianta erbacea, l’Aegilopstauschii, per generare il Triticum spelta, o farro spelta. In seguito, anche se i dettagli sono ancora da definire, una serie di ulteriori modifiche genetiche ha portato al nostro amato Triticumaestivum: il grano tenero con cui facciamo il pane e la pizza. È stato proprio il genoma donato da A.tauschii a migliorare le qualità panificatorie della farina di frumento tenero, e ha anche permesso la coltivazione in climi più freddi e più a nord, tant’è che ancora oggi il frumento tenero migliore arriva propri dai climi più freddi.
Il frumento tenero è un esaploide, ha cioè sei copie di ogni cromosoma, provenienti dalle tre specie diverse che lo hanno generato.
Provate a pensare a cosa voglia dire avere sei copie di ogni cromosoma, è come se noi (diploidi) invece di averne 46 ne avessimo tre volte tanto, cioè 138: saremmo dei mostri. Mentre il grano tenero non sembra soffrire particolarmente dell’anomalia genetica.
Il frumento tenero quindi, a differenza del frumento duro, non ha un corrispondente selvatico diretto e per questo ha una biodiversità estremamente ridotta. Con i suoi 95.000 geni e il triplo del numero dei cromosomi delle due specie selvatiche di Triticum da cui tutto era partito, è un vero e proprio mostro genetico, certo simpatico come quelli di Monsters&Co, che nel corso della sua evoluzione ha inglobato, con un atto «contro natura», interi genomi di piante non solo di specie diverse ma anche di genere diverso.
Naturale o contro natura ?
Nel libro Contro natura abbiamo raccontato questa storia, come molte altre, per mostrare come il concetto di “naturale” sia solo una costruzione culturale. Rassicurante a volte, certo, e per certi versi spesso comoda, ma pur sempre una costruzione umana che semplifica, a volte troppo, la complessità dell’agricoltura. Queste storie servono anche a mostrare come la nostra concezione delle piante che mangiamo sia profondamente semplicistica: siamo un po’ tutti creazionisti e “fissisti” da questo punto di vista, immaginando specie viventi che rimangono fisse e immutabili dal giorno della loro creazione. Le cose in realtà sono più complicate, e l’agricoltura stessa è una storia di geni che girano, si scambiano, mutano, saltano specie, si fondono e così via.
Non conosceremo mai i dettagli dell’unione che ha generato il frumento tenero, ma da qualche parte vicino al Mar Caspio, a fianco di un campo coltivato a farro dicocco vi erano campi incolti dove tra le erbe selvatiche cresceva A. tauschii. Forse questa unione contro natura era già avvenuta altrove in precedenza, ma furono quegli ignoti coltivatori a notare alcune spighe diverse, a prendersene cura e a riprodurle lentamente. Il fatto che in natura non esista il frumento tenero selvatico, che contenga geni di tre specie diverse, e che sin dalla sua genesi sia il frutto dell’intervento umano, che ha poi plasmato il suo genoma nel corso dei millenni per renderlo sempre più utile, ma incapace di sopravvivere autonomamente, dovrebbe far riflettere sulla corsa al «cibo naturale», dove con questo termine si intende, in modo un po’ confuso, un alimento che non ha subito manipolazioni o interventi umani.
Alla prossima
By Dario Bressanini
P.S. Questo articolo, così come il frumento, è nato da una fusione di un articolo apparso su Le Scienze n. 552 di Agosto 2014 con il quarto cromosoma (a.k.a. “capitolo”) del libro Contro natura, nella cinquina finalista del prestigioso premio letterario Galileo per la divulgazione scientifica.
Tratto da: lescienze.it
In una intervista alla CBS il dott. William Davis ha definito il grano (cereale) moderno: un “veleno cronico perfetto” .
Il cardiologo americano ha pubblicato un libro su tutte le varianti di questo cereale dal titolo Wheat Belly (Pancia da grano), un best seller secondo il New York Times.
Davis ha affermato che il grano che mangiamo nei nostri giorni non è il grano che mangiava la nonna.
E’ una pianta alta 18 pollici creata da una ricerca genetica negli anni ’60 e ’70, ha detto al programma “CBS This Morning”, ed ancora: ha molte particolarità di cui nessuno ti ha parlato, ad esempio c’è una nuova proteina chiamata gliadina. Non è glutine.
Non mi sto riferendo alle persone con sensibilità al glutine e celiachia.
Sto parlando di tutti gli altri, perché tutti sono sensibili alla proteina della gliadina, che è un oppiaceo. Questa interagisce con i recettori oppiacei nel cervello e nella maggior parte delle persone stimola l’appetito, in modo tale da farci consumare 440 calorie in più al giorno, 365 giorni all’anno.
Alla domanda se l’industria agricola potesse ritornare alla produzione del grano più tradizionale il dott.Davis ha risposto negativamente perchè quel grano che fu mutato trent’anni fa rende meno di quello attuale alle industrie alimentari.
Perché ?
Semplice: è più basso, meno sottoposto al vento e quindi con meno dispersione del raccolto.
Il grano di cui parla il Dott. Davis si chiama grano Creso, (vedi: Celiachia), un problema molto conveniente.
Proseguendo nell’intervista il Dott. Davis afferma che è comprovato il fatto che una dieta senza grano porta enormi benefici; centinaia di migliaia di persone perdono peso (con una dieta senza grano) 30, 80, 150 libbre (1 libbra = 453.5 gr).
I diabetici cessano di soffrire di diabete, persone affette da artrite hanno miglioramenti drastici, persone che perdono gonfiore alle gambe, reflusso acido, sindrome del colon irritabile, depressione e così via !
Il miglior modo per una dieta più sana secondo il doc è tornare ad alimenti che presentano meno possibilità di manipolazione “industriale e commerciale”. Verdura, carne ecc. anche se qui si aprirebbe un dibattito che non finirebbe più.
Comunque, questa è l’intervista originale sul sito della CBS e questo il video (in inglese):
www.cbsnews.com/8301-505269_162-57505149/modern-wheat-a-perfect-chronic-poison-doctor-says/
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GRANO SARACENO (Fagopyrum esculentum)
Il grano saraceno si distingue dai comuni cereali per l’elevato valore biologico delle sue proteine, che contengono gli otto amminoacidi essenziali in proporzione ottimale, mentre i cereali “veri” (il grano saraceno, a dispetto del nome, non è un cereale) contengono poca lisina.
Il grano saraceno è una buona fonte di fibre e di minerali, soprattutto manganese e magnesio. Ha un indice di sazietà abbastanza elevato, caratteristica comune a tutti i cereali in chicchi.
È privo di glutine, quindi è adatto per i soggetti celiaci.
vedi: Consigli Alimentari + Crudismo + Vegetarianesimo + Vegetariani 1 + Vegetariani 2 + Germogli
Il Grano Saraceno vittima con l’apartheid sul cibo – 2017
Pilastro della dieta dei contadini europei nel Medioevo, ma essenziale per la prima guerra mondiale dagli Stati Uniti alla Russia, il grano saraceno, praticamente non serve per fare frittelle, e ancora molto altro, persino il pane !
Questo cibo/alimento ha sofferto un apartheid ingiusto e radicale in favore del falso cugino: grano bianco, chiamato anche “grano” o “grano duro”. A meno che tu non sia Bretone, caro lettore, hai mangiato grano saraceno nei pancake negli ultimi sei mesi ? Condannato all’oblio !….E’ stato stimato nel 1970 e 1980 che la scomparsa di grano saraceno non aveva in fondo importanza.
Che importa se la gente preferisce grano tenero !
Questo grano dà una farina molto bianca, con la quale si sono fatte baguette, croissant, panini croccanti !
La gente ha molti “giustificazioni” per non mangiare il “grano saraceno” terribile e primitivo, a buon mercato !
Così abbiamo lasciato che il grano saraceno scomparisse dai nostri campi, le nostre mensole e i nostri piatti senza farci nessuna domanda. La produzione è diminuita da 400 000 tonnellate a 20.000 tonnellate tra il 1918 e il 1964 negli Stati Uniti, un calo del 95%. Ed è stato solo dopo diversi decenni abbiamo capito perché i nostri antenati coltivati e consumavano il grano saraceno, al posto del grano. I benefici avrebbero dovuto saltare fuori. Ma non abbiamo visto nulla !
Il Grano saraceno, le fonti di autentica agricoltura biologica
Le virtù di grano saraceno diventano evidenti non appena si seminano:
il Grano saraceno ha la proprietà di “aprire” il terreno e tenerlo pulito di erbacce. Le pianure agricole infinite di Russia e in particolare gli Stati Uniti sono stati liquidati senza Round-Up, ma con i semi di grano saraceno, i primi coloni americani avevano avuto cura di portare con sé, cio’ che ha salvato le loro vite.
Il Grano saraceno arricchisce naturalmente il terreno con fosfato. Questo impedisce lo scarico e l’utilizzo di fertilizzanti chimici con il rischio di avvelenamento fiumi e delle acque sotterranee. Questo è ciò che gli ha permesso di crescere e svilupparsi, in milioni di chilometri quadrati di terra arida: nelle steppe della Russia, Cina, Kazakistan, e nelle zone di montagna, dove i cereali non crescono, Abbiamo coltivazioni di grano saraceno (che botanicamente non è un grano, ma uno pseudo-cereali come la quinoa e l’amaranto).
I nostri “agricoltori biologici” moderni scoprono un altro motivo per la popolarità del grano saraceno antico: riduce le popolazioni di V. dahliae, un batterio che rompe la resa e la qualità delle patate. Il Grano saraceno evita pertanto moderni trattamenti, contro questa parassitosi, verticillosi, che sono inefficienti ed altamente inquinanti.
Abbiamo finalmente capito perché i nostri nonni, che praticavano la rotazione delle colture, che seminavano grano saraceno prima di piantare le patate l’anno successivo !
Infine, il grano saraceno attrae gli impollinatori ed alimenta fauna selvatica: è il garante di una sana biodiversità nelle campagne.
Le api lo amano e lo rendono uno dei migliori mieli che sono di colore scuro e molto gustoso. Forse è questo il motivo per cui il grano saraceno non era solo popolare in Occidente.
Le persone di origine asiatica lo amano, perché è con lui che produce i deliziosi spaghetti giapponesi chiamati soba, anche molto popolare in Corea. Nei paesi himalayani, c’è una sorta di porridge (farinata).
In Europa orientale e in Russia, abbiamo fatto la Kasha: chicchi decorticati e torrefatti. Anche dal punto nutrizionale e di vista culinario, il grano saraceno è molto più interessante del grano. Ha un ricco sapore di nocciola. Non contiene glutine.
Può essere consumato da persone affette da celiachia (intolleranza al glutine), per tutti i pazienti ipersensibili o che cercano di ridurre il livello di infiammazione.
Le Virtù del grano saraceno nella salute sono innumerevoli: sostituire la vostra farina di frumento con farina di grano saraceno e si perde peso perché il grano saraceno sazia più velocemente.
Esso contiene fibra più solubile e quindi ha un effetto benefico sugli intestini. Il grano saraceno è molto più digeribile del grano.
Le persone che mangiano grano saraceno al posto del grano hanno anche un minor numero di problemi di peso, meno il diabete, e meno cancro. Molti studi hanno cercato di determinare perché.
Tuttavia, sembra esserci una sinergia tra i vari componenti di grano saraceno che spiegano questo: il grano saraceno contiene molti minerali (come magnesio, 200 mg per 100 g di grano saraceno solo, ma anche fosforo, manganese, zinco), vitamine del gruppo B, e molti antiossidanti. Contiene due a dodici volte più fenoli, antiossidanti del frumento, orzo, segale e avena, ed è ricco di flavonoidi, derivati di catechina ed epicatechina (antitumorale).
L’industria farmaceutica ha estratto dai fiori e foglie del grano saraceno, vari antiossidanti, tra cui rutina, quercetina e proanthocyanes. Pochissime persone sanno, che la farina di grano saraceno è molto più fragile di altre.
Può essere refrigerato o meglio nel congelatore.
Ricette, ci sono molte ricette per frittelle o frittelle di grano saraceno. In Gran Bretagna, si sta lottando per se parlare di “pancake” o “torta”, e sono in corso discussioni circa la ricetta: deve miscelare solo la farina con acqua e sale o possiamo, senza tradire, aggiungere le uova e l’olio ?
Nel resto della Francia, e’ normale l’uso di farina di grano saraceno mista alle patate, cipolle, uova e latte. In Belgio, “Bouquettes Liège” ci sono frittelle che sono mescolate con farina di grano saraceno e avena, in modo uniforme con le uova, l’olio, il brandy, lievito e, naturalmente, il birra per bagnare e uvetta. Sono serviti con marmellata.
In India, chapati sono grandi frittelle di grano saraceno. In Canada, una delle specialità è la “ploye” che è, anche, una grande frittella. Ma sarebbe un peccato fermarsi lì.
Ci sono una serie di tagliatelle cinese, coreano, giapponese con grano saraceno e anche italiane: i pizzoccheri.
Grano saraceno, infine, e’ un peccato non mangiare quel pasto: come ho spiegato sopra, si mangia in tutta l’Europa orientale come cereali integrali chiamati “Kasha”. Entra nelle polpette in preparati, con foglie di cavolo e riccioli di tutti i tipi e come base per le insalate. Consiglio vivamente di esplorare la tradizione culinaria, che è stato per secoli il pilastro della nostra dieta. E ‘anche una questione di recuperare le antiche salubre tradizioni culinarie !
Tratto da: Sante Nature Innovation – santenutrition@sante-nature-innovation.fr
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Riassumo brevemente quanto riportato in fondo nel testo in Inglese.
Le specie di grano più diffuse sono esaploidi, ovvero hanno sei copie di geni. Quasi tutte le creature viventi ne hanno solo due. Il DNAdel grano ha circa 16 miliardi di basi, 40 volte di più del riso, 6 più del mais e 5 più dell’uomo. Per questo motivo la modificazione genetica “moderna” del grano è stata piuttosto ridotta, e perciò la produzione di grano non cresce, al contrario di quella di mais, soia e riso.
Il grano è il frutto dell’incrocio di tre specie diverse. Il primo incrocio avvenne in Siria 10.000 anni fa, il secondo sul mar Nero 8.000 anni fa.
Il grano così ottenuto aveva semi più grossi e meglio attaccati alla spiga, tanto da *dover* essere seminato dall’uomo. Gli Indoeuropei, che lo coltivavano ed allevavano animali domestici, si moltiplicarono ed iniziarono così a sostituire ed assimilare i cacciatori-raccoglitori autoctoni.
6.000 anni fa fu inventato l’aratro ma solo nel 300 AC il collare per cavalli che permetteva loro di trainare grossi carichi senza esserne strangolati, surclassano così i bovini.
Nel 1701 Jethro Tull (finalmente ho scoperto chi era, fin’ora sapevo solo che era un agricoltore del ‘700) inventò un sistema di semina basato su canne d’organo che ottuplicava la resa del grano seminato. Come al solito venne insultato e vilipeso. 100 anni dopo, l’introduzione della sua macchina sul mercato [quindi non solo il carbone fu all’origine della rivoluzione industriale ?] provocò disordini e rivolte.
L’introduzione dei trattori portò un automatico aumento del 25% della produzione, ovvero la parte del raccolto usata come mangime per gli animali usati per l’aratura.
Nel 1830 venne scoperta l’eccezionale utilità del guano di uccello, ma nel 1880 questo venne esaurito, per essere sostituito dai nitrati del Cile.
Nel 1909 la BASF riuscì finalmente a produrre l’ammoniaca dall’azoto atmosferico, ma la sua adozione come fertilizzante si affermò solo verso il 1950, per via dei soliti pregiudizi contro le novità in agricoltura ed anche perché il grano cresceva troppo alto e tendeva a spezzarsi col vento.
Attualmente circa metà degli atomi di azoto dell’umano medio sono passati attraverso una fabbrica di fertilizzanti.
Alla fine della seconda guerra mondiale vennero ottenuti ibridi con una varietà che cresceva solo fino a 70 centimetri anziché i tradizionali 140.
Verso il 1955 Norman Borlaug, uno studioso finanziato dalla Rockefeller Foundation, ottenne un incrocio tre volte più produttivo di quelli allora in uso, sestuplicando la produzione di grano in Messico e triplicando quella indiana, dove, dal 1974, non ci sono più state carestie.
Da allora gli scienziati hanno usato neutroni, raggi X, ethyl methane sulphonate (un potente cancerogeno) per danneggiare il DNA e generare *casualmente* i cereali mutanti *oggi comunemente in uso* senza che siano mai stati fatti test clinici di alcun tipo.
Il paradosso è che l’ingegneria genetica è stata introdotta per avere un procedimento più sicuro e meno casuale per ottenere lo stesso scopo.
Vi raccomando, se potete, di leggere l’articolo che segue, perché contiene molte altre interessantissime informazioni.
The story of wheat – Ears of plenty – Dec 20th 2005
From The Economist print edition – The story of man’s staple food
In 10,000 years, the earth’s population has doubled ten times, from less than 10m to more than six billion now and ten billion soon. Most of the calories that made that increase possible have come from three plants: maize, rice and wheat. The oldest, most widespread and until recently biggest of the three crops is wheat (see chart).
To a first approximation wheat is the staple food of mankind, and its history is that of humanity.
Yet today, wheat is losing its crown. The tonnage (though not the acreage) of maize harvested in the world began consistently to exceed that of wheat for the first time in 1998; rice followed suit in 1999. Genetic modification, which has transformed maize, rice and soyabeans, has largely passed wheat by—to such an extent that it is in danger of becoming an “orphan crop”. The Atkins diet and a fashion for gluten allergies have made wheat seem less wholesome. And with population growth rates falling sharply while yields continue to rise, even the acreage devoted to wheat may now begin to decline for the first time since the stone age.
It is time to pay tribute to this strange little grass that has done so much for the human race. Strange is the word, for wheat is a genetic monster. A typical wheat variety is hexaploid—it has six copies of each gene, where most creatures have two. Its 21 chromosomes contain a massive 16 billion base pairs of DNA, 40 times as much as rice, six times as much as maize and five times as much as people. It is derived from three wild ancestral species in two separate mergers. The first took place in the Levant 10,000 years ago, the second near the Caspian Sea 2,000 years later.
The result was a plant with extra-large seeds incapable of dispersal in the wild, dependent entirely on people to sow them. [0]
The story actually starts much earlier, around 12,000 years ago. At the time, after several warm millennia, a melting ice sheet in North America collapsed and a gigantic lake drained into the North Atlantic through the St Lawrence seaway. The torrent of cool, fresh water altered the climate so drastically that the ice age, which had been in full retreat, resumed for a further 11 centuries. The Scandinavian ice sheet surged south. Western Asia became not only cooler, but much drier. The Black Sea all but dried out.
People in what is now Syria had been subsisting happily on a diet of acorns, gazelles and grass seeds.
The centuries of drought drove them to depend increasingly on wild grass seeds. Abruptly, soon after 11,000 years ago, they began to cultivate rye and chickpeas, then einkorn and emmer, two ancestors of wheat, and later barley. Soon cultivated grain was their staple food. It happened first in the Karacadag Mountains in south-eastern Turkey—it is only here that wild einkorn grass contains the identical genetic fingerprint of modern domesticated wheat.
Who first replanted the seeds and why ? For a start, he was probably a she: women have primary responsibilities for plant gathering in hunter-gatherer societies. The time was certainly ripe for agriculture: the ability to make tools and control fire (cooking makes many plants more digestible) was already well established.
But was it an act of inspiration or desperation ?
Did it perhaps happen by accident, as discarded grains germinated around human settlements ?
The wheat plant evolved three new traits to suit its new servants: the seeds grew larger; the “rachis” which binds the seeds together became less brittle so whole ears of grass, rather than individual seeds, could be gathered; and the leaf-like glumes that covered each seed loosened, thus making the grains “free-threshing”. In the past two years, the very mutations that allowed these changes have been located within the wheat plant’s genome.
Wheat’s servants now became its slaves. Agriculture brought drudgery, subjugation and malnutrition, because unlike hunter-gatherers, farmers could eke out a living when times were bad. But at least that meant that they could survive. Population growth was now inevitable. Within a few generations, wheat farmers were on the march, displacing and overwhelming hunter-gatherers as they went, and bringing with them their distinct
Indo-European language, of which Sanskrit and Irish are both descendants.
By 5,000 years ago wheat had reached Ireland, Spain, Ethiopia and India. A millennium later it reached China: paddy rice was still thousands of years in the future.
Wherever they went, the farmers brought their habits: not just sowing, reaping and threshing, but baking, fermenting, owning, hoarding. By 9,000 years ago they had domesticated cattle, to which they could feed wheat to get meat and milk. They could also get precious manure to fertilise the fields. Not until 6,000 years ago did somebody invent the first plough to turn the earth, burying weeds and breaking up the seedbed.
Innovations came slowly in wheat farming. The horse collar arrived in the third century BC, in China.
By not pressing on the animal’s windpipe, it enabled the animal to drag greater weight—and faster than an ox. In 1701 AD the Berkshire farmer Jethro Tull devised a simple seed drill based on organ pipes, which resulted in eight times as many grains harvested for every grain sown. Like most agricultural innovators since, he was vilified.
A century later the threshing machine was greeted by riots.
In 1815 a gigantic volcanic eruption at Tambora in Indonesia led to the famous “year without a summer”.
New England had frosts in July. France had bitter cold in August. Wheat prices reached a level that would never be seen again in real terms, nearly $3 a bushel. Thomas Robert Malthus was then at the height of his fame and the harvest failure seemed to bear out his pessimism. In 1798 he had forecast a population crash, based on the calculation that it was impossible to improve wheat yields as fast as people made babies (each new baby can make more babies; each new field of grain leaves less new land to cultivate).
The Malthusian crash was staved off in the 19th century by bringing more land under the plough—in North America, Argentina and Australia especially.
But wheat yields per acre grew worse if anything as soil nutrients were depleted. So in 1898, in a speech to the British Association, a chemist, Sir William Crookes, argued again that worldwide starvation was inevitable within a generation. Population was rising fast. There was little new land to plough. Famines became worse each season, especially in Asia.
This time it was the tractor that averted Malthusian disaster. The first tractors had few advantages over the best horses, but they did not eat hay or oats. The replacement of draft animals by machines released about 25% more land for growing food for human consumption.
The Malthusian limit would surely be reached one day, though. The only way to increase yield was to find a way of supplying extra nitrogen, phosphorus and potassium to the soil. Neither a break crop of legumes, nor manure was the answer, since both demanded precious acres to produce. The search for fertiliser took unexpected turns.
British entrepreneurs scoured the old battlefields of Europe searching for phosphorus-rich bones. In about 1830 a magic ingredient was found: guano. On the dry seabird islands off the South American and South African coasts, immense deposits of bird droppings, rich in nitrogen and phosphorus, had accumulated over centuries.
Guano mining became a profitable business, and a grim one. Off South-West Africa, the discovery in 1843 of the tiny island of Ichaboe, covered in 25 feet of penguin and gannet excrement, led to a guano rush followed by a mutiny and battles. By 1850, Ichaboe, minus 800,000 tonnes of guano, was deserted again.
Between 1840 and 1880, guano nitrogen made a vast difference to European agriculture. But soon the best deposits were exhausted. In the dry uplands of Chile, rich mineral nitrate deposits were then found, and gradually took the place of guano in the late 19th century. The nitrate mines fuelled
Chile’s economy and fertilised Europe’s farms.
On July 2nd 1909, with the help of an engineer named Carl Bosch from the BASF company, Fritz Haber succeeded in combining nitrogen (from the air)
with hydrogen (from coal) to make ammonia. In a few short years, BASF had scaled up the process to factory size and the sky could be mined for nitrogen. Today nearly half the nitrogen atoms in the proteins of an average human being’s body came at some time or another through an ammonia factory. In the short term, though, Haber merely saved the German war effort as it was on the brink of running out of nitrogen explosives in 1914, cut off from Chilean nitrates. He went on to make lethal gas for chemical warfare and genocide.
On farms, Haber nitrogen ran into much the same revulsion as had greeted the seed drill. For many farmers, the goodness of manure could not be reduced to a white powder. Fertiliser must in some sense be alive.
Haber nitrogen was not used as fertiliser in large quantities until the middle of the 20th century, and for a good reason. If you put extra nitrogen on wheat, the crop grew taller and thicker than usual, fell over in the wind and rotted. On General Douglas MacArthur’s team in Japan at the end of the second world war a wheat expert named Cecil Salmon collected 16 varieties of wheat including one called “Norin 10”, which grew just two feet tall, instead of the usual four. Salmon sent it back to a scientist named Orville Vogel in Oregon in 1949.
Vogel began crossing Norin 10 with other wheats to make new short-strawed varieties.
In 1952 news of Vogel’s wheat filtered down to a remote research station in Mexico, where a man named Norman Borlaug was breeding fungus-resistant wheat for a project funded by the Rockefeller Foundation. Borlaug took some Norin, and Norin-Brevor hybrid, seeds to Mexico and began to grow new crosses. Within a few short years he had produced wheat that yielded three times as much as before. By 1963 95% of Mexico’s wheat was Borlaug’s variety, and the country’s wheat harvest was six times what it had been when Borlaug set foot in the country.
In 1961 Borlaug was invited to visit India by M. S. Swaminathan, adviser to the Indian minister of agriculture. India was on the brink of mass famine.
Huge shipments of food aid from America were all that stood between its swelling population and a terrible fate. One or two people were starting to say the unsayable. After an epiphany in a taxi in a crowded Delhi street, the environmentalist Paul Ehrlich wrote a best-seller arguing that the world had “too many people”.
Not only could America not save India; it should not save India. Mass starvation was inevitable, and not just for India, but for the world.
No need to starve
Borlaug refused to be so pessimistic. He arrived in India in March 1963 and began testing three new varieties of Mexican wheat. The yields were four or five times better than Indian varieties. In 1965, after overcoming much bureaucratic opposition, Swaminathan persuaded his government to order 18,000 tonnes of Borlaug’s seed.
Borlaug loaded 35 trucks in Mexico and sent them north to Los Angeles. The convoy was held up by the Mexican police, stopped at the border by United States officials and then held up by the National Guard when the Watts riots prevented them reaching the port. Then, as the shipment eventually sailed, war broke out between India and Pakistan.
Natural-born mutants
As it happened, the war proved a godsend, because the state grain monopolies lost their power to block the spread of Borlaug’s wheat. Eager farmers took it up with astonishing results. By 1974, India’s wheat production had tripled and India was self-sufficient in food; it has never faced a famine since. In 1970 Norman Borlaug was awarded the Nobel Peace Prize for firing the first shot in what came to be called the “green revolution”.
Borlaug had used natural mutants; soon his successors were bringing on mutations artificially. In 1956, a sample of a barley variety called Maythorpe was irradiated at Britain’s Atomic Energy Research Establishment.
The result was a strain with stiffer, shorter straw but the same early harvest and malting qualities, which would eventually reach the market as “Golden Promise”.
Today scientists use thermal neutrons, X-rays, or ethyl methane sulphonate, a harsh carcinogenic chemical—anything that will damage DNA—to generate mutant cereals. Virtually every variety of wheat and barley you see growing in the field was produced by this kind of “mutation breeding”. No safety tests are done; nobody protests. The irony is that genetic modification (GM) was invented in 1983 as a gentler, safer, more rational and more predictable alternative to mutation breeding—an organic technology, in fact. Instead of random mutations, scientists could now add the traits they wanted.
In 2004 200m acres of GM crops were grown worldwide with good effects on yield (up), pesticide use (down), biodiversity (up) and cost (down). There has not been a single human health problem. Yet, far from being welcomed as a greener green revolution, genetic modification soon ran into fierce opposition from the environmental movement. Around 1998, a century after Crookes and two centuries after Malthus, green pressure groups began picking up public disquiet about GM and rushed the issue to the top of their agendas, where it quickly brought them the attention and funds they crave.
Wheat, because of its unwieldy hexaploid genome, has largely missed out on the GM revolution, as maize and rice accelerate into world leadership. The first GM wheats have only recently been approved for use, their principal advantage to the farmer being so-called “no till” cultivation—the planting of seed directly into untilled soil saves fuel and topsoil.
Soon after Norman Borlaug went to India in 1963, a remarkable thing began to happen. The world population growth rate, in percentage terms, had been climbing steadily since the second world war (bar a two-year drop in 1959-60 caused by Mao Xedong). But in the mid 1960s it stopped rising. And by 1974 it was falling significantly.
The number of people added each year kept on rising for a while, but even that peaked in 1989, and then began falling steadily. Population was still growing, but it was adding a smaller and smaller number each year.
Demographers, who had been watching the exponential rise with alarm, now forecast that the population will peak below ten billion—ten gigapeople—not long after 2050. Such a low forecast would have been unthinkable just two decades ago. Already, in developing countries, the number of children born per woman has fallen from six to three in 50 years. It will have reached replacement-level fertility (where deaths equal births) by 2035.
This is an extraordinary development, unexpected, undeserved—and apparently unnatural. Human beings may be the only creatures that have fewer babies when they are better fed. The fastest-growing populations in the world over the next 50 years will be those of Burkina Faso, Mali, Niger, Somalia, Uganda and Yemen. All except in Yemen are in Africa. All are hungry. All remain untouched by Borlaug’s green Revolution: all depend on primarily organic agriculture.
In 10,000 years the population has doubled at least ten times. Yet suddenly the doubling has ceased. It will never double again. The end of humanity’s population boom will happen in the lifetimes of people alive today. It is the moment when Malthus was wrong for the last time.
Of course feeding ten billion will not be trivial. It will require at least 35% more calories than the world’s farmers grow today, probably much more if a growing proportion of those ten billion are to have meat more than once a month. (It takes ten calories of wheat to produce one calorie of meat.) That will mean either better yields or less rainforest—which is why fertilisers, pesticides and transgenes are the best possible protectors of the planet.
The story of wheat is not finished yet.
By F.Bertolazzi – nospam@dynip.it – News Group it.scienza.ambiente – Apr 2006
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DANNI delle MULTINAZIONALI OGM In questo periodo di grandi incertezze per il futuro dobbiamo mantenere alta la guardia e cercare di comprendere in che modo sia possibile vivere in armonia con il Creato e rispettarne le leggi. Questa notizia evidenzia un problema di entità globale, che influenza la vita di milioni di persone.
Negli ultimi mesi le colture di grano e riso hanno subito costanti attacchi dalle multinazionali OGM, che vogliono il controllo globale delle sementi e dell’uomo stesso. Le nuove tecnologie, che hanno di fatto alterato la biologia cellulare di questi cereali, hanno trasformato i semi in vere e proprie bombe a orologeria.
Lo scopo di queste corporazioni è quello di annientare l’uomo medio, costringendolo a fame e malattia.
La FAO ha messo in guardia nel mese di marzo che l’Iran ha rilevato un nuovo ceppo di fungo nel fusto del grano, altamente patogeno, color ruggine, chiamato Ug99. La malattia fungina può diffondersi in altri Stati produttori di grano nel Vicino Oriente e in Asia Occidentale, che forniscono un quarto di tutto il grano del mondo.
Il fungo causa pustole di colore arancione scuro sul fusto e le foglie delle piante infette. Le pustole possono avvolgere completamente il fusto, danneggiando il tessuto connettivo e impedendo la crescita del grano.
Perdite di rendimento possono raggiungere il 70 per cento, mentre alcuni campi sono totalmente distrutti. Se questo fungo attacca all’inizio del ciclo di crescita, le perdite sono più elevate. Le spore rilasciate dalle pustole fungine vengono distribuite dal vento e possono viaggiare per grandi distanze.
Questa notizia della nuova malattia viene nel bel mezzo della carenza globale di riso e grano provocata dal tifone e le inondazioni a Java, Bangladesh, India e dalle malattie e parassiti in Vietnam.
L’anno scorso l’Australia subito il suo secondo anno consecutivo di siccità grave e un quasi completo fallimento delle colture di mais, piogge pesanti hanno ridotto la produzione in Europa, Argentina ha subito pesanti danni con il gelo, e il Canada e gli Stati Uniti entrambi hanno avuto un basso rendimento.
Disordini alimentari sono scoppiati in Egitto, Haiti e diversi Stati africani, tra cui la Mauritania, Camerun, Costa d’Avorio, Burkina Faso e Senegal negli ultimi mesi.
Articolo originale: UN alert: One-fourth of world’s wheat…
www.worldtribune.com/worldtribune/WTARC/2008/me_iran0128_05_13.asp
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ECCEZIONALE SCOPERTA !
UNA PROTEINA DEL GRANO INNESCA NEURO-INFIAMMAZIONE NELLE MALATTIE CRONICHE COME LA SCLEROSI MULTIPLA – Vienna, 17 ottobre 2016
Gli scienziati hanno scoperto che una proteina del frumento innesca l’infiammazione delle malattie croniche, come la sclerosi multipla, l’asma e l’artrite reumatoide, e contribuisce anche allo sviluppo di non-celiaci sensibilità al glutine.
Con gli studi precedenti comunemente concentrandosi su di glutine e il suo impatto sulla salute dell’apparato digerente, questa nuova ricerca, presentata alla UEG Week 2016, accende i riflettori su una diversa famiglia di proteine che si trovano in inibitori amilasi-tripsina di grano chiamato (ATIS). Lo studio mostra che il consumo di ATI può portare allo sviluppo di infiammazione in tessuti dell’intestino, tra linfonodi, reni, milza e cervello. L’evidenza suggerisce che ATI può peggiorare i sintomi di artrite reumatoide, la sclerosi multipla, l’asma, lupus e steatosi epatica non alcolica, così come la malattia infiammatoria intestinale, specialmente nei soggetti vaccinati !
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STORIA di un cereale
I derivati del frumento sono alla base della dieta mediterranea, soprattutto pane e pasta, emblema della cucina italiana. A memoria d’uomo in Italia si è coltivato e mangiato prodotti a base di grano, senza troppi problemi.
Sembra che il progenitore dell’attuale grano sia stato il triticum monococcum, un grano dalla spiga piccola e con uno scarsissimo contenuto di glutine, parente del farro.
Da questo si è passati al triticum dicoccum con spighe più grandi e quindi più redditizio per poi arrivare alle due varietà di grano tenero e duro, il triticum durum, che danno origine alle produzioni di farine, pane e altri derivati, il primo, e di pasta, il secondo.
I contadini ogni anno seminavano le loro sementi, ricavate dal raccolto precedente, ma all’inizio degli anni cinquanta, cominciarono a rifornirsi di semi prodotti industrialmente.
Il grano ha sempre avuto tra i suoi costituenti fondamentali una componente tossica, il glutine, con funzioni di riserva per la crescita del germe.
Il Glutine è una sostanza colloidale, formata da due proteine semplici la Gliadina e la Gluteina che conferiscono al seme un alto grado di collosità e favorisce l’aggregazione sua e l’elasticità dell’impasto.
La Gliadina è una proteina vegetale ricca di acido glutamminico, che risulta particolarmente irritante per le cellule nervose.
La Gluteina è una proteina solubile in alcali, ma, quando il pH dell’intestino varia verso l’acido, non è più solubile e quindi non metabolizzabile e diviene una tossina.
Il grano primitivo, il monococco, oltre a contenere uno scarso quantitativo di glutine, era dotato di un perfetto equilibrio dei suoi componenti che impediva alla tossicità del glutine di esplicare un’azione lesiva a livello dei tessuti, come avviene quasi sempre nei prodotti della natura, prima delle trasformazioni indotte dalla moderna tecnologia.
Fino agli anni ‘60 in Italia, soprattutto in Puglia, il grano duro coltivato abitualmente era della varietà Cappelli, di ottima qualità, ma era ad alto fusto e facilmente si piegava verso terra all’azione del vento e della pioggia con una bassa produttività.
Nel 1974 un gruppo di ricercatori del CNEN (Comitato Nazionale per l’Energia Nucleare, con le sue acque reflue che furono utilizzate dagli agricoltori siti vicino all’impianto nucleare) indusse una mutazione genetica nel grano duro denominato “Cappelli”, esponendolo ai raggi gamma di un reattore nucleare per ottenere una mutazione genetica e, in seguito, incrociandolo con una varietà americana. Dopo la mutazione, il grano era diventato “nano”, mostrando differenze, in positivo, in caratteri come la produttività e la precocità nella crescita.
Questo nuovo tipo di grano mutato geneticamente, non OGM, ma irradiato, fu battezzato “Creso” e, con esso oggi si prepara circa il 90% della pasta venduta in Italia, ogni tipo di pane, dolci, pizze, alcuni salumi, capsule per farmaci.
Cosa sono i raggi Gamma.
I raggi gamma (γ) sono una forma di radiazione elettromagnetica più penetrante sia della radiazione alfa sia della radiazione beta, ma meno ionizzante.
I raggi gamma si distinguono dai raggi X per la loro origine: i gamma sono prodotti da transizioni nucleari o subatomiche, mentre gli X sono prodotti da transizioni energetiche dovute ad elettroni in rapido movimento. I raggi gamma producono effetti simili a quelli dei raggi X come ustioni, forme di cancro e mutazioni genetiche.
I raggi gamma possiedono una capacità battericida che li rende utili nella sterilizzazione delle confezioni alimentari e delle apparecchiature mediche; sono usati, inoltre, per alcuni esami diagnostici di medicina nucleare, come ad esempio la tomografia ad emissione di positroni (PET)
I Pericoli nascosti del grano.
Sono sempre più diffuse le reazioni avverse al frumento: malattia celiachia, reazioni allergiche, intolleranze, difficoltà digestive.
Le moderne selezioni hanno modificato questa pianta da cereale, ricco di amidi, ad un’altro con caratteristiche più simili ad una leguminose, per aumentare il contenuto proteico.
Appare fondata l’ipotesi che la modifica genetica del frumento sia correlata ad una modificazione della sua proteina e in particolare di una frazione di questa, la gliadina, la proteina basica capace di indurre l’enteropatia infiammatoria e quindi il malassorbimento caratteristico del Morbo Celiaco. L’aumento dell’incidenza della Celiachia, quindi, (1 caso ogni 100 o 150 persone con una crescita percentuale del 9% all’anno), potrebbe essere anche dovuta anche ai ripetuti e differenti interventi sulle varietà di grano, presente nella maggior parte degli alimenti che mangiamo, ma occorrerebbe produrre indagini scientifiche ed epidemiologiche accurate.
Ma la storia non finisce qui.
Il grano che arriva sulle nostre tavole non è soltanto il Creso. Nei prodotti industriali vengono utilizzati anche grani meno costosi, proveniente dai granai dell’Unione Sovietica, del Canada o degli Stati Uniti.
Dal 1992 l’Italia importa circa il 60% della farina dall’America settentrionale e dall’Ucraina. Solo apparentemente le caratteristiche organolettiche di queste farine sono uguali a quelle di produzione italiana perché il grano deve viaggiare per lunghi periodi, stivato nelle navi o su treni merci. Quindi, oltre ad aver subito durante la coltivazione trattamenti a base di antiparassitari, diserbanti e pesticidi, deve essere ripetutamente trattato durante il viaggio, per evitare la distruzione delle stesse granaglie ad opera di topi e infestazioni varie. Si può facilmente immaginare quali siano le caratteristiche biochimiche del prodotto che arriva sugli scaffali del supermercato e successivamente a contatto con la mucosa intestinale.
Inoltre, la varietà “Manitoba”, importata soprattutto dal Canada e dagli Stati Uniti, possiede 28 coppie di cromosomi in ogni cellula. Per millenni, nell’ambito del bacino del Mediterraneo e nei paesi limitrofi, si è coltivato frumento e varietà dello stesso, con un corredo cromosomico pari a 14 (grano antico, spontaneo, siro-persiano) o, come nel farro, 42 cromosomi per cellula.
Questa variabilità genetica potrebbe contribuire a scatenare reazioni allergiche, disordini immunitari, intolleranze al frumento.
By Diana Gallone – Tratto da: eutrophia.it – sarafarnetti.it
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Perché ai Nutrizionisti piace la Timilia?
Sicuramente perché è buona, fa bene alla salute e favorisce la salvaguardia della biodiversità !
Ma cerchiamo di capire che cosa è la Timilia, anche chiamata Tumminia o Triminia e perché è salutare per noi, per l’ambiente e, perché no, anche per l’economia Siciliana!
La Timilia è una graminacea cioè un grano (Triticum Durum) che viene annoverato fra i “Grani Antichi” in particolare “Siciliano” perché è una varietà che si coltiva da secoli esclusivamente in Sicilia proprio per le caratteristiche climatiche, infatti la Timilia, che è un “grano estivo”, si semina in primavera e si miete in giugno ed ha bisogno di caldo secco e di nessun tipo di trattamento di tipo antiparassitario o anticrittogamico quindi è biologico per natura, ma rispetto al grano moderno, il Creso e tutte le varietà da esso ottenute, la spiga più piccola produce meno farina e la resa per ettaro è minore.
Fu proprio la maggiore resa per ettaro e la bassa statura, più facile da trebbiare con le macchine, che dagli anni ’70 portò l’affermazione del Creso, nelle sue varietà, come unica tipologia di grano prodotto e coltivato in Italia e nel mondo e questo provocò la scomparsa di gran parte dei grani antichi autoctoni.
Il Creso è nato nel 1974 per “migliorare”, irradiando con raggi X nel Centro di Studi Nucleari del CNEN della Casaccia (Roma), un grano di ottima qualità come il Senatore Cappelli al fine di ottenere una qualità con caratteristiche di maggiore forza glutinica e resa per ettaro. Per molti oggi il Creso, alla luce dei disturbi correlati con il consumo di questo grano in questi 40 anni, è considerato “un peggioramento” che dovrebbe essere eliminato dalle nostre tavole o comunque utilizzato molto poco.
La Timilia è quindi un Grano Duro “Antico” con cariosside piccola dal quale si produce una farina di semola ricca di Germe di grano, Sali minerali e Vitamine del gruppo B, fibra (8 -9 %) e proteine (13-15%) anche più delle varietà moderne ma con minore indice glutinico cioè forza della maglia glutinica, per capirci la manitoba che è una farina di un grano tenero americano con un conte nuto proteico del 12- 13 % ma una forza glutinica molto alta, infatti viene usata spesso per fare la pizza sprint casalinga ma anche mescolata ad altre farine per accelerare la lievitazione del pane e portarlo sulle nostre tavole in un paio di ore al massimo, lievitazione e cottura compresa!
Al contrario un pane prodotto con farina di semola di grano duro Timilia deve essere lievitato molte ore sia che si utilizzi lievito di birra, anche se non è il più indicato, sia che si usi la pasta madre, migliore scelta perché provoca una lievitazione lenta, uniforme, naturale ed ad alta digeribilità.
Il Glutine, questo sconosciuto ma tanto odiato elemento costituente delle farine di quasi tutti i cereali (escluso riso, mais, grano saraceno) in realtà è un complesso di proteine che a secondo della qualità può avere caratteristiche chimico-fisico diverse e dare ai prodotti consistenze e digeribilità differenti. Non è quindi la quantità di Glutine ad essere importante ai fini della salute ma la qualità e quindi l’Indice di Glutine che per i Grani Antichi è abbastanza basso, in genere, ed in particolare molto basso per la Timilia.
E’ proprio il tipo di proteine che costituiscono il glutine ad attrarre i ricercatori che non di rado hanno trovato nei campioni di “Grani Antichi” conservati presso le banche del germoplasma presenti nel mondo, varianti proteiche molto rare o addirittura assenti nelle moderne varietà.
Tratto da: Grani Antichi – Una rivoluzione dal campo alla tavola, per la salute, l’ambiente e una nuova agricoltura Gabriele Bindi
Ringraziamo alcuni contadini/imprenditori e più di tutti la Stazione Consorziale Sperimentale di Granicoltura per la Sicilia che ha sede a Caltagirone che provvedere alla conservazione e mantenimento del germoplasma di specie mediterranee
Infatti grazie a loro da qualche anno il grano Timilia e varietà come il Russello, Biancolilla, Bidì, Perciasacchi, Maiorca (riso dell’isola di Maiorca) e molti altri sono nuovamente disponibili per il consumo locale ed anche nazionale.
La loro coltivazione e commercializzazione permette a tutti noi molti vantaggi in termini di salute ma anche perché ci permette di recuperare un’economia locale che innesca un volano di benessere per tutti!
Coltivare, molire a pietra, trasformare in prodotti da forno o in pasta i “nostri Grani Antichi Siciliani” sta portando l’economia siciliana al centro di una realtà che coinvolge molti mestieri quasi dimenticati e nuove professionalità, restituendoci quel ruolo primario di soggetti artefici della nostra salute e della nostra economia visti come integrati e non dicotomici.
Tre anni fa il Centro Studi di medicina integrata (CESMI) di Palermo, in collaborazione con l’Ordine dei Chimici e Legambiente di Palermo, ha deciso di valutare la Timilia su 30 volontari sofferenti di disturbi dell’apparato gastrointestinale comunemente chiamate “coliti” o più correttamente Sindrome del Colon Irritabile. È stata esclusa la celiachia mediante test specifici ed è stata valutata mediante test genetico HLADQ2/DQ8 la Sensibilità Non Celiaca al Glutine (GSNC), che è stata riscontrata nella maggior parte dei volontari.
Tutti coloro che hanno aderito allo studio osservazionale per 30 giorni hanno sostituito la pasta ed il pane comune con prodotti a base di farina di Timilia. Tutti hanno avuto la remissione dei sintomi. I particolari dello studio sono presenti nel sito del CESMI di Palermo.
Due anni fa a settembre la dott.ssa Gabriella Pravatà, medico presidente del CESMI ha presentato questo studio al Convegno sui Grani Antichi Siciliani che si è tenuto ad Enna, alla presenza di produttori di grano, mugnai, pastificatori e agronomi, in quell’occasione ero stata invitata anch’io come biologa nutrizionista.
Per me è stata una vera rivelazione! Ho iniziato a consigliare il pane e la pasta di Timilia ai pazienti con disturbi gastrointestinali, all’inizio con molte difficoltà di reperimento ma via via con maggiore semplicità!
Credevo che lo studio presentato avrebbe avuto maggiore risalto nell’ambiente medico siciliano, invece ho scoperto che è più conosciuto dai colleghi nutrizionisti fuori dalla Sicilia che dai Siciliani.
Lo studio ha dimostrato che la Timilia è un grano adatto per fare pane, pasta, biscotti consumabili da persone sofferenti di disturbi gastrointestinali non celiaci, purtroppo gli altri grani antichi non dimostrano di avere le medesime caratteristiche pur distinguendosi per il gusto, la più facile lievitazione e maggiore plasticità di impiego, sono infatti più adatti per fare pizza, brioche o dolci.
Se dovessi fare un distinguo direi “Timilia sta a patologie gastrointestinali mentre Altri Grani Antichi stanno a prevenzione”.
Quindi possiamo dire che abbiamo trovato l’oro, la pietra filosofale alchemica, nel grano Timilia ma non ne comprendiamo le grandi potenzialità e lo stiamo lasciando in mano ad interessi commerciali che non si integrano con quelli scientifici, costretti ad assistere impotenti a panificazioni di basso livello con l’impiego di farina di Timilia al 20 – 30 %, con “lievitazione naturale” di poche ore prodotta con il lievito di birra, che provoca gonfiori addominali ed intolleranze alimentari, anziché con l’uso della Pasta Madre.
È necessario che diventiamo consumatori più consapevoli, perché la “Scelta” è l’unica arma di cui disponiamo. La “Scelta” può provocare terremoti commerciali come è già avvenuto di recente con l’Olio di Palma.
By Dott.ssa Cacciola Maria Stella Biologa Nutrizionista – Esperta in Intolleranze Alimentari
Tratto da: nonnapaperina.it
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